..Il termine esatto è Internet Addiction Disorder (IAD) e il disturbo potrebbe entrare presto nel novero delle patologie psichiatriche ufficiali, a partire dalla quinta edizione del DSM, il manuale statistico e diagnostico delle malattie mentali, da decenni punto di riferimento per gli strizzacervelli di tutto il mondo. Il primo a chiedere l’inserimento dello IAD nella “Bibbia della psichiatria”, fu Ivan Goldberg, psichiatra della Columbia University, che coniò il termine, nel 1995. Da allora gli studi sul fenomeno si sono susseguiti freneticamente.
Gli specialisti, al momento, tendono a distinguere tra un utilizzo patologico proprio e uno generalizzato.
Il primo riguarda le persone dipendenti da una funzione specifica di Internet (ad esempio, pornografia, aste on-line, scarico illegale di contenuti mediatici): si tratta di forme di dipendenza che esisterebbero autonomamente, rispetto alla presenza, o meno, della rete.
Quello generalizzato è più complesso da definire. In linea di massima è la dipendenza cosiddetta «multidimensionale», che include perfino la perdita di tempo on-line, il trastullarsi senza un obiettivo preciso. Spesso ha a che fare con la frequenza di partecipazione a una chat, di controllo della posta elettronica, di aggiornamento dello status di Facebook.
Ovvio che tale elemento è in relazione con l'aspetto sociale di Internet: il bisogno di un contatto e il rinforzo ottenuto on-line, accrescono il desiderio di rimanere in uno stato di vita sociale virtuale frenetico.
Per cui, la necessità incontenibile di trascorrere sempre più tempo collegati alla rete e – qualora questo non avvenga - l’insorgenza di sintomi da astinenza (ansia, agitazione, pensieri ossessivi riguardanti internet) divengono così i segni clinici necessari per una diagnosi certa.
Inoltre, perchè si possa parlare di vero e proprio disturbo, i sintomi devono incidere in maniera negativa sulla vita sociale della persona (il tempo trascorso su internet sottrae l’attenzione dalla famiglia, dagli amici, persino dal lavoro o dagli studi). E tutto questo può comportare anche problemi di salute fisica: mal di schiena, guai alla vista, disturbi del sonno, trascuratezza della persona.
In Italia, da qualche mese, se ne occupa il Policlinico Gemelli di Roma, che ha aperto un ambulatorio dedicato, all’interno del Day Hospital psichiatrico. L’obiettivo è, senza mezzi termini, quello di «liberare chi è intrappolato nella rete».
Dopo un colloquio iniziale, per confermare o meno la diagnosi di dipendenza, la struttura propone alcuni incontri successivi per individuare la psicopatologia sottostante e l'inserimento progressivo in gruppi di riabilitazione, al fine di riattivare un contatto "dal vivo" con la società.
Nello specifico, si distinguono cinque categorie di dipendenza: dalla
cyber-sexual addiction (maniaci del sesso virtuale e della pornografia), alla
cyber-relational addiction (quelli che cinguettano su Twitter e similari); dalla
net-compulsion (include i giocatori d’azzardo e le donne cresciute a pane e sex and city, ossia le shopping compulsive, ma pure chi on-line vende qualunque cosa, compreso il proprio corpo), all'
information overload (chi passa le ore a fare ricerca ossessiva di informazioni); fino ad arrivare alla vera e propria computer addiction (una combinazione esplosiva che include il coinvolgimento eccessivo in giochi "virtuali" e che porta a credere che la vera vita sia solo quella della rete).
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4...diction_2.shtml