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LAUREA, declassata?

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Joshhi
view post Posted on 30/1/2012, 13:26     +1   -1




Laurea, cosa cambierebbe con l’abolizione del valore legale del titolo di studi


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Nemmeno il mondo delle università sembra potersi sottrarre dalle rivoluzioni preannunciate dall’esecutivo Monti, e che hanno colpito gli atenei italiani – per il momento – solo sul fronte amministrativo (ad esempio, prevedendo un portale unico nazionale per la gestione delle procedure di iscrizione dei giovani diplomati). Ma cosa potrebbe accadere se – come sostiene qualcuno – il governo approverà una riforma in grado di condurre la laurea alla perdita del

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I pro della possibile riforma
Piuttosto chiari i vantaggi di tale riforma: anche chi non ha conseguito la laurea, o chi magari ha ottenuto l’ambita pergamena con un voto finale non certamente soddisfacente, potrà partecipare a concorsi e procedure di selezione presso aziende pubbliche e private, senza aver paura di sfigurare nei confronti degli altri candidati, a causa dello scarso peso del proprio titolo di studio. Pertanto, si amplierà la gamma di possibili candidati ai concorsi e alle selezioni e, di contro, verrà estesa la gamma di possibili lavori da svolgere da parte del singolo aspirante professionista.
Anche se continueranno a rimanere alcune barriere opportune (difficilmente un laureato in biologia diventerà commercialista), è certamente apprezzabile lo sforzo verso una più intensa competitività degli atenei e dei curriculum dei giovani, all’interno dei quali si ridurrà lo spazio d’importanza dei titoli di studio, a beneficio delle esperienze e delle altre attività formative.

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I contro della riforma
Se i vantaggi della riforma appaiono in maniera piuttosto evidente, lo stesso si può dire per gli svantaggi. La perdita del valore legale del titolo di studio rischia di deprezzare il valore sostanziale dei percorsi di studio di centinaia di migliaia di italiani, che hanno conseguito a caro prezzo e fatica la pergamena di laurea. Il rischio principale è che costoro vengano equiparati a coloro che non sono laureati, all’interno di procedure di selezione troppo flessibili, e in grado di deprezzare la preparazione universitaria.
Consideriamo, ad esempio, le famiglie che hanno investito molto denaro sul futuro dei propri figli. O ancora, gli studenti lavoratori che – impegnandosi su più fronti – hanno conseguito a fatica il proprio titolo di studio. O, infine, coloro che attraverso la borsa di studio hanno potuto metter mano sull’agognata pergamena. Persone che potrebbero veder sensibilmente sminuita l’importanza dei propri sacrifici a causa dell’abolizione del valore legale del titolo di studio.
Di contro, coloro che non hanno voluto frequentare l’università per diverse ragioni, o l’hanno frequentata conseguendo il titolo di studio con il minimo dei voti, e contemporaneamente godono degli appoggi delle famiglie più agiate, potrebbero recuperare terreno in termini di competitività nazionale.

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Due sono le ipotesi di riforma attualmente allo studio. La prima prevede l’abolizione del valore legale del titolo. Pertanto, soppesando le pergamene, potrebbe aver maggior valore una laurea con votazione inferiore, ma conseguita in un istituto più prestigioso, rispetto a una laurea con votazione massima, ma ottenuta in atenei meno noti. Una riforma radicale che non piace a molti rettori, convinti che in tal modo le iscrizioni vadano a polarizzarsi verso gli atenei più famosi.
La seconda ipotesi di riforma prevede invece l’eliminazione del voto di laurea dal calcolo del punteggio nei concorsi pubblici. E’ su questa strada che il governo ha indirizzato la propria volontà, anche se non sono eslcusi dei ritocchi futuri, che possano condurre la posizione dell’esecutivo verso una posizione – appunto – più radicale.
Per il momento, intanto, è previsto un ampliamento del numero dei partecipanti ai concorsi pubblici, a causa dell’eliminazione del tetto minimo legato al voto di laurea.

 
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