Rarissima e interessantissima inchiesta del giornale di Ragusa già fatta sparire dal web e fortunosamente salvata dal feed rss
INCHIESTA MAFIA
da Giornale di Ragusa 29/05/2010
« La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. » Così definiva la mafia Giovanni Falcone tra i padri della lotta alla mafia ucciso nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992.
Una definizione che ci fa ben sperare ma intanto in attesa che sarà scritta la parola fine non possiamo fare altro che constatarne l’ evoluzione. E l’evoluzione è sotto gli occhi di tutti: proprio qualche giorno fa ne abbiamo avuto prova con la maxi operazione della Dia coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha fatto luce sul controllo del trasporto e la gestione del mercato ortofrutticolo attivato da un cartello di Clan della Camorra, della Mafia e della ‘ Ndrangheta che ha portato a 68 ordinanze di custodia cautelare e al sequestro di beni per 90milioni di euro. Provvedimenti eseguiti tra la Campania, il Lazio e la Sicilia. Non bisogna, dunque, pensare che la Mafia è un fenomeno lontano da noi, che non ci appartiene. Anche la nostra provincia definita “babba” a quanto pare babba non lo è e non lo è mai stata.
E non è un caso se questa maxi operazione abbia interessato anche la nostra provincia ed in particolare lei, la città che porta il nome della Contessa che la fondò. Ancora una volta è Vittoria a balzare agli onori delle cronache nazionali per fatti legati alla malavita. Ma oggi si può parlare ancora di Mafia a Vittoria? E poi: è corretto parlare di Mafia o bisogna parlare di Stidda? Qual’è la differenza? Ne abbiamo parlato con il Capo della Squadra Mobile di Ragusa Francesco Marino, il giorno dopo la maxi operazione portata a termine con il dirigente del commissariato di Vittoria Alfonso Capraro che ha portato all’arresto di tre uomini al mercato ortofrutticolo di Vittoria che ci ha spiegato innanzitutto come la nuova criminalità organizzata, rispetto a quella del passato, abbia cambiato atteggiamento. E’ stata avviata una sorta di flessibilità e di precarietà del crimine. Non si sente più come in passato la necessità di costituirsi in una macrostruttura visibile che tiene a libro paga i propri adepti. Troppo visibile. Troppo costoso. Meglio dare spazio, controllando. E allora può succedere che un gruppo di persone può costituirsi in banda e rapinare, rubare beni e rimetterli nel mercato, taglieggiare i piccoli imprenditori, senza subire come in passato o il massacro o l’inglobamento nel clan.
Questa nuova criminalità che viene definita micro, sceglie di fare rapine, aggressioni furti o racket lo fa per migliorare la propria capacità economica. Le rapine e i furti sono i primi scalini che servono ad avere quella liquidità che permette di avviare un’impresa. Il crimine è diventato un percorso di crescita, non è più un gesto frutto della disperazione. La violenza e la spettacolarità delle azioni sono il valore aggiunto. Non si sentono dei criminali si sentono imprenditori. Tutto questo afferma un concetto semplice: rispettare le regole è il limite del perdente. Per questo malgrado gli arresti a raffica, altri sono pronti a salire su questo carro per provare la scalata. Ma per comprendere tutto questo occorre fare un passo indietro e capire l’origine del male e soprattutto il significato. C’era una domanda in sospeso a Vittoria si può parlare di Mafia o quello che accade a Vittoria è altro? “ La Stidda- ci spiega il capo della squadra mobile di Ragusa Marino- è qualcosa di diverso dalla Mafia e anzi ha cercato di non aver mai niente a che fare con essa. Gli “stiddari”, ovvero gli uomini che dormivano sotto le stelle, hanno cercato di crearsi il proprio spazio, il proprio giro d’affari senza ostacolare quello della mafia perché la consideravano qualcosa di troppo grande e difficile da gestire” .
Ma cos’è la Stidda ? La Stidda è un’organizzazione criminale presente nei territori controllati da Cosa Nostra, ma è strutturata, a quanto sembra, in modo diverso da questa. Di questa organizzazione si sa poco, anche se alcuni elementi cominciano ad emergere. Il potere stiddaro, a differenza della mafia “normale”, si sviluppa nelle aree di bisogno; la capitale della Stidda è Gela, luogo della disgregazione sociale, caratterizzato da una forte immigrazione, dagli scompensi territoriali dovuti alla costruzione del polo petrolchimico e dallo sradicamento generale. Gli stiddari sono in origine uomini scartati da Cosa Nostra, che hanno formato associazioni di tipo mafioso. Questa naturalmente è solo una definizione, ma la Stidda non è una definizione e forse questi dati daranno la contezza di ciò che in concreto è ed è stata questa organizzazione criminale: oltre 100 morti ammazzati tra il 1989 e il 1992; 1800 arresti per mafia negli ultimi 15 anni che, tradotto in cifre, significa un carcerato o un inquisito ogni 120 abitanti. 600 le persone che secondo gli investigatori apparterrebbero alle bande criminali.
Ma perché proprio Vittoria? Che cosa succedeva a Vittoria in quel periodo? Succedeva che si era raggiunto un elevato livello di benessere grazie alle coltivazioni in serra, e ciò aveva attirato l’interesse della malavita, soprattutto proveniente dalla Provincia di Caltanissetta. A causa di questi interessi economici ci fu un incremento di intimidazioni e violenza non indifferente in tutta la città. Uno dei primi segni della “svolta” malavitosa si ebbe nel 1983 con l’omicidio di Peppe Cirasa, storico boss del contrabbando, ad opera di Turi Gallo: capo di una organizzazione criminale senza scrupoli che gestiva il gioco d’azzardo, il pizzo e il traffico di droga. Ma chi era Cirasa? Fin dalla metà degli anni sessanta mafia a Vittoria vuol dire Giuseppe Cirasa. Un boss vecchio stampo che tiene rapporti con la cupola palermitana e catanese senza entrare nei grandi affari regionali. L’attività principale del gruppo in quegli anni è il contrabbando di sigarette. Un’attività secondaria, qualcuno potrebbe pensare. In realtà un’attività con un elevato numero di addetti, agganci all’estero e reti logistiche in tutta la Sicilia sud-orientale. Fino a Siracusa. Fino a Malta.
“Quello che faceva capo a Cirasa -racconta Marino- in realtà era un piccolo gruppo di criminali vittoriesi che si occupavano di contrabbando di sigarette. Parlare di mafia sembrava ancora eccessivo anche se sicuramente quella fu la prima organizzazione criminale”. Ma alla fine degli anni settanta la situazione è destinata a cambiare. Viene siglato un patto fra le cosche più potenti della Sicilia: l’ingresso di alcune imprese catanesi a Palermo in cambio di una maggiore presenza delle famiglie palermitane a Ragusa. Intanto le mafie cambiano pelle e ridefiniscono il loro contatto con l’esterno. Un passaggio che viene condotto con successo a partire dal 1980, quando un giovane in ombra, Turi Gallo, spalleggiato dall’intera famiglia, costituisce un clan. Con loro ci sono anche Carmelo Dominante e tre giovani fratelli che in città incutono già paura e rispetto: Claudio, Bruno e Silvio Carbonaro. Il clan che si forma lascia intendere che non insidierà lo spazio di Cirasa, né minerà la tranquillità di Vittoria. Ma la macchina dei Gallo è già in movimento. S’insinua nell’economia vittoriese, s’impone nelle bische clandestine e si radica nei quartieri popolari, dove vengono arruolati molti giovani. Insomma si stanno creando le condizioni perché il clan rompa la pace a Vittoria e dispieghi le proprie forze.
Qual è l’obbiettivo dei Gallo? Acquisire il dominio assoluto su Vittoria. Nei piani di Turi Gallo, perciò, diviene risolutiva la chiusura dei conti con il vecchio boss di Cosa Nostra. E comunque Vittoria dorme sonni tranquilli almeno fino all’inizio degli anni ottanta. Il 9 settembre 1983 la tranquillità di questa striscia di terra, però, muore per sempre. Giuseppe Cirasa viene ucciso. Sacrificato alle esigenze di cambiamento dei giovani vittoriesi che premono dal basso. Ci sono nuovi affari da far partire, le estorsioni, il traffico di eroina, le bische clandestine. A prendere il potere sono i fratelli Gallo, uomini d’onore di Cosa Nostra, ma pronti ad allontanarsene, a diventare completamente autonomi, entrando in quella galassia criminale chiamata Stidda. In questo modo si consolida il radicamento nei quartieri e diviene più scientifico il livello di intimidazione e di fuoco. Inizia così la più feroce e sanguinaria guerra di mafia che mette a ferro e fuoco l’intera provincia. Un tranquillo, rispettato, insospettabile insegnante dell’Istituto tecnico per chimici di Ragusa, Biagio Gravina, raccoglie attorno a sè i ventenni e i trentenni della cosca. E nel 1987 elimina uno dopo l’altro i fratelli Gallo.
Il professore segna un passaggio decisivo nella vita del clan. Con lui finisce il dispotismo dei capi, che i Gallo e Cirasa, mutuavano da Cosa Nostra. Adesso tutti gli affiliati vengono chiamati a discutere di tattica e strategia, e viene tenuto conto della loro opinione nelle questioni più importanti, specialmente quando si deve compiere un omicidio. "In fondo siamo una cosca abbastanza democratica", dichiara Bruno Carbonaro in un processo. Ma gli equilibri all’interno della stidda sono destinati a cambiare. Nel 1989 tocca a Gravina essere ucciso. Segue la vendetta e la ricomposizione della Leadership: al comando giungono tre giovani fratelli, cresciuti nel quartiere Forcone: Bruno, Claudio e Silvio Carbonaro, insieme a Carmelo Dominante. Sono criminali efficienti e spietati. Le loro attività sono il traffico di droga e il racket delle estorsioni. Si riforniscono di eroina e kalashnikov in quel grande supermarket della mafia che era l’autoparco di via Salomone a Milano. Si alleano con altri gruppi della Stidda in guerra con Cosa Nostra, di Gela, Niscemi, Riesi, Agrigento, Palma Di Montechiaro. Consolidano una rete d’estorsioni che parte dal mercato ortofrutticolo e si estende ad ogni attività economica della zona. “Sono questi gli anni più difficili per Vittoria- spiega Marino che era da poco giunto in provincia- sono gli anni degli omicidi. Un dato che non tutti sanno ad esempio è che a Vittoria si registrò solo il 5- 10% di omicidi di differenza rispetto a Gela.
E questo era un indicatore sintomatico della violenza e crudeltà di queste persone.” Al gruppo appartengono nomi pesanti come Carmelo Dominante, Biagio Gravina, e i fratelli Carbonaro. Tale gruppo rimane compatto sino al 1987 quando lo zoccolo duro composto dai Carbonaro e dai Dominante elimina Turi Gallo e poi, onde evitare vendette, tutti i membri della sua famiglia. Il binomio macchiato di sangue Dominante - Carbonaro diventa egemone su Vittoria, ed eliminerà anche il Gravina. Tale alleanza criminale agiva soprattutto nel campo del racket, chiedendo il 3% sull’ammontare dei lavori di opere pubbliche, ma la vera miniera d’oro è rappresentata dalla risorsa agricola: ovvero il mercato ortofrutticolo. Nessuno per anni osò ribellarsi, anche perché gli “avvertimenti” per gli indisciplinati che non pagavano erano molto pesanti (incendio del box, buste con proiettili), sino a quando nel 1989 Salvatore Incardona, l’unico che non pagava e che incitava gli altri a non farlo venne eliminato il 9 giugno: anche Vittoria ha purtroppo avuto il suo Libero Grassi. Tra il 1996 e il 1999 scoppiano varie guerre di mafia per il controllo del territorio: il gruppo Dominante contro i Nigito (con l’uccisione di tre persone fatte trovare cadaveri a Vizzini dentro un auto), per culminare con la strage del 2 gennaio 1999, quella di San Basilio, quando venne ucciso dal clan Piscopo Angelo Mirabella, reggente del clan Dominante e altre quattro persone.
Lo shock in tutta la città fu evidente, i media nazionali mostrarono Vittoria come una città arretrata, omertosa e retrograda, questo spinge nella direzione di assicurare alla giustizia molti criminali che per anni hanno tormentato la cittadinanza. “ La strage di San Basilio è stato sicuramente l’episodio più tragico accaduto in provincia di Ragusa. Non l’ho vissuta in prima persona perché ero al Commissariato di Modica- continua Marino- ma l’allora Capo della Squadra Mobile di Ragusa Peppe Bellassai ha comunque coinvolto tutti perché c’era necessità di aiuto e collaborazione. Sicuramente c’era grande preoccupazione per quello che poteva accadere. La Strage di San Basilio è stata sicuramente la cartina tornasole perché ha permesso una netta inversione di tendenza. Si è infatti riusciti scoprire l’esatta motivazione del perché era successa quella strage, arrivando così nel 2008 a condannare all’ergastolo tutti coloro che avevano eseguito ed ordinato la strage.”
L’inevitabile resa dei conti tra Carbonaro e Dominante viene impedita solo dall’arresto, tra il 1992 e il 1994, dei tre fratelli che successivamente sarebbero diventati collaboratori di giustizia, spifferando i segreti della loro organizzazione. “ Il pentimento dei tre fratelli Carbonaro -dice Marino- e successivamente anche di Gino Distefano che fu reggente dopo l’arresto dei fratelli Carbonaro e che dopo un lungo periodo di latitanza fu arrestato a Messina, fu sicuramente il più clamoroso e permise di portare a termine operazioni importanti note come “Piazza Pulita” e “Operazione Squalo”. Con queste operazioni si diede un duro colpo all’organizzazione e si riuscì a sfaldare la soglia di tutti coloro che pur vivendo in una posizione “minore” rispetto ai capi erano comunque destinati a continuarne le “gesta”.
Si ebbe una conoscenza esatta di queste “famiglie” che grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia vengono decimate fino ad arrivare ai giorni nostri con le ultime operazioni di polizia denominate Flash Back e Final Game: dietro le sbarre sono finiti Filippo Ventura, Paolo Cannizzo soggetti che sono stati arrestati di recente, ma che già da dieci anni erano vicini ai fratelli Carbonaro. Mentre allora non erano di spessore elevato dopo l’assenza forzata dei loro capi si sono dovuti organizzare e farsi avanti ma senza avere la stessa forza dei loro predecessori e questo ci ha permesso, anche grazie al coordinamento della magistratura, di dare un taglio a questi virgulti che dovevano continuare gioco forza l’attività della cosca”.
Fin qui la storia ma a questo punto inevitabili sono le considerazioni. Perché tutto questo accade a Vittoria? Cos’ha di diverso dalle altre realtà della provincia? Quando lo chiediamo al dirigente della squadra mobile la risposta non lascia spazio ad altre interpretazioni: “Il resto della provincia rispetto a Vittoria che comunque non và ulteriormente messa in croce, è tutto un altro mondo. A Vittoria c’è sempre stato un muro di gomma, di omertà che è insito nella cultura dei cittadini. E questo lo dico con molto rammarico perchè poi i dati dimostrano che quando c’è stata collaborazione tutto è stato risolto in modo più semplice e veloce. Parlo di cultura e non di paura, perché di paura i cittadini non possono più averne, non ci sono più coloro che veramente mietevano il terrore. Ora sarebbe il momento giusto per prendere coscienza che le cose stanno cambiando e che occorrerebbe intervenire. Tutti.” Svegliare le coscienze, questo è il messaggio che ci lascia il comandante della squadra Mobile di Ragusa Francesco Marino per non accettare in silenzio che alcune cose vadano in un certo modo, senza far niente per cercare di cambiarle.
Svegliare le coscienze per non accettare in silenzio che alcune cose vadano in un certo modo, senza far niente per cercare di cambiarle.
UNA STIDDA CHE NON BRILLA PIU’
Una chiacchierata con il dirigente della squadra mobile di Ragusa, Francesco Marino, ci fa capire l’organizzazione criminale nota come Stidda che ha il suo epicentro in provincia a Vittoria, non brilli più come un tempo. Il duro lavoro di magistratura e forze dell’ordine, ha dipanato le maglie di un’associazione a delinquere di stampo mafioso che ha messo a ferro e fuoco un territorio per oltre un ventennio. Un territorio che comincia timidamente a reagire, ma che deve rompere quel muro d’omertà che da sempre lo circonda per scrivere davvero la parola fine ad un capitolo ancora aperto
POST IT ( OPPURE COME ANCORA?)
MORIRE CON CORAGGIO
Di Sonia Iacono
Era l’alba del 9 giugno del 1989 e all’altezza del civico 116 di via Firenze a Vittoria, Salvatore Incardona, commissionario ortofrutticolo aveva appena chiuso la saracinesca del garage e si era messo a bordo della sua auto.
Alle 5 e 45 sotto le raffiche dei colpi di arma da fuoco, moriva il dirigente della cooperativa Agriduemila, ucciso dalla mafia perché aveva avuto il coraggio di ribellarsi al “pizzo”, pagando con la propria vita un prezzo altissimo.
Un omicidio che ha traumatizzato la sua famiglia che non riusciva a spiegarsi il perché di quella morte così violenta. Incardona non aveva mai confessato ai suoi familiari le pressioni a cui era sottoposto da diverso tempo dal clan Dominante-Carbonaro. Soltanto con le rivelazioni dei pentiti si è aperto uno squarcio di luce su uno degli omicidi più enigmatici che avevano insanguinato Vittoria a partire dalla fine degli anni Ottanta e fino alla metà degli anni Novanta.
A ventuno anni di distanza Carmelo Incardona, avvocato, deputato regionale del Pdl, già presidente della commissione antimafia e figlio di Salvatore, il primo commissionario che non si è piegato alla mafia, ci ha voluto raccontare quei terribili momenti. La fine della pax mafiosa parte con l’omicidio del boss di Cosa Nostra, Giuseppe Cirasa, a metà degli anni Ottanta. Da allora e per quasi un decennio la città divenne un tragico teatro di sangue con oltre 50 omicidi di cui ben venti fra gennaio e novembre del 1990. Assassini che delineavano una guerra senza esclusioni di colpi per il controllo del territorio tra Cosa Nostra e la Stidda, capeggiata dai boss Dominante-Carbonaro. Anni di piombo, come li ha definiti la stampa locale, che hanno segnato tragicamente il territorio vittoriese. L’assassinio di Carmelo Incardona doveva essere d’esempio a tutti; nessuno poteva ribellarsi ma tutti dovevano chinare il capo e pagare. “ Quella tragedia squassò la mia famiglia. Quella mattina del 9 giugno ad udire gli spari fu mio fratello, fu lui ad accorgersi di ciò che era successo. In poco tempo il quartiere si riempì di gente. Io quella notte non ero tornato a casa, ero fuori, forse a Catania, all’epoca non esistevano telefoni cellulari quindi veni a conoscenza di quanto accaduto solo davanti casa, quando mi accorsi di tutta quella gente e quel vociferare. Non vidi ciò che i miei familiari videro all’alba di quella mattina. Non riuscivamo a capire cosa fosse successo ma, soprattutto il perché di quel gesto nei confronti di mio padre. Erano tante le domande che ci ponevamo ma non riuscivamo a trovare una risposta. Solo successivamente gli inquirenti ci dissero che si trattava di un “affare” di mafia. Vittoria in quegli anni raggiunse un elevato livello di benessere grazie alle coltivazioni in serra, e ciò ha attirato l’interesse della malavita, soprattutto proveniente dalla Provincia di Caltanissetta. A causa di questi interessi economici ci fu un incremento di intimidazioni e violenza non indifferente in tutta la città. “A casa noi non sospettavamo nulla-racconta ancora Carmelo Incarodona. Mio padre era molto bravo a nascondere, proprio per non farci preoccupare. Ricordo solo una cosa strana che avvenne forse qualche giorno prima della strage. Una sera squillò il telefono di casa e a rispondere fu proprio mio padre, cambiò espressione in viso e quando gli chiesi chi era al telefono lui si limitò a dire che avevano sbagliato numero e riprese a fare ciò che aveva lasciato prima con aria disinvolta, quindi per me fu tutto normale. Non sapevo e neanche immaginavo ciò che covava sotto. Mio padre era un gran lavoratore tutte le mattine si alzava presto per andare al mercato. Anche mio fratello aveva scelto il mestiere di mio padre.” Il mercato ortofrutticolo di Vittoria era il cuore pulsante dell’economia della città ed il clan Dominante voleva costringere i commissionari a pagare il pizzo. Negli anni 80 pagare il pizzo era una sorta di “protezione”, chi chinava il capo alla malavita veniva “assicurato”. Salvatore Incardona aveva deciso di sfidare la mafia, ma lo ha fatto in un tempo in cui pochi avevano avuto il coraggio di alzare la testa e ribellarsi. La sua figura stava diventando troppo scomoda, perché si era rifiutato di pagare il pizzo ed aveva sollecitato i colleghi di contrada Fanello a reagire alla mafia. Per questo andava eliminato.